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Critichì |
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Padroni a Casa Nostra
Tommaso Bruni
Non preoccupatevi: non sono diventato leghista; semplicemente vorrei parlare di questo celebre slogan degli xenofobi "Adoratori del celodurismo", di recente riproposto da alcuni cartelloni che, malauguratamente per me, campeggiano sui muri del mio paese. Lo slogan dovrebbe affermare un principio di autonomia, per cui il potere politico su un certo territorio deve essere esercitato localmente da chi effettivamente vi risiede. Nondimeno, questo principio, apparentemente ragionevole e colmo di buon senso, si presta a non poche torsioni problematiche, dovute sia alla sua stessa struttura, sia ai termini usati dai "creativi" di via Bellerio.
L`uso del termine "padroni", infatti, esula dal vocabolario politico stretto: indica la relazione di propriet? nei confronti di un certo oggetto oppure la posizione superiore in un rapporto di lavoro subordinato. Ci? sposta il discorso dall`ambito della res publica a quello del possesso privato, svuotando il sintagma "a casa nostra" della sua originaria forza metaforica ("casa" come "patria", "comunit?", "popolo") per gettarlo nella pi? bieca letteralit? ("casa" come edificio). Alla suggestione delle parole si aggiunga il fatto che il principio di autodeterminazione politica non ha un limite minimo di applicazione: all`interno di ogni comunit? data ci pu? essere qualcuno che si ritiene dominato da un potere centrale che non lo rappresenta. Ci? pu? portare alla secessione successiva di aree sempre pi? piccole e condurre a esiti disastrosi, come hanno insegnato i Balcani negli anni `90.
L`immagine dipinta da questo icastico slogan ? quella di una comunit? atomizzata, dove ciascuno, nella propria casa e nella propria fabbrichetta, ? padrone assoluto di cose e persone, e guai a chi ficca il naso ("e che comande me che!"): si salvano solo pochi momenti sociali, talmente di massa da divenire coatti e finalizzati a scaricare odio contro l`altro, come la partita di calcio. Si tratta di una dimensione prepolitica in cui il "noi" dello slogan implode nel vuoto spinto dell`individualismo, in cui il richiamo identitario serve solo a rescindere ogni legame sociale non codificato (niente solidariet?, niente dialogo, niente stranezze, solo Atalanta e gruppo Alpini).
Se il mondo ideale del leghista ? agghiacciante, nondimeno si rivela essere il contrario di ci? che vorrebbe essere: infatti, l`atomizzazione oggi non coincide con un massimo di potenza, di solidit?, di sicurezza, bens? al contrario con l`estremo della passivit? e della sudditanza. Il pianeta ? attualmente regolato da fenomeni che si svolgono su scala globale e i cui agenti determinanti si trovano spesso al di fuori del controllo democratico, come nel caso di grandi corporations e di istituzioni soprannazionali come UE, WTO, WB, FMI.
Di fronte a questi macrofenomeni e alla conseguente crisi di efficacia del potere politico dello stato-nazione, nonch? alla dilagante americanizzazione della cultura, chiudersi nel campanilismo e in identit? locali posticce ? esattamente l`opposto di quanto occorre fare. L`unico modo per governare la globalizzazione ? creare strutture politiche rappresentative e democratiche su una scala pi? ampia di quella nazionale: a meccanismi economici e culturali divenuti giganteschi, occorre rispondere accettando la sfida di aumentare le dimensioni dei sistemi politici senza perdere la partecipazione democratica. Chiudersi nella propria valle prealpina significa solo crogiolarsi in una tradizione artefatta di polenta e Gioppino, mentre i ragazzi diventano Playstation-dipendenti, si ubriacano di Guinness e il loro destino lavorativo viene deciso a New Delhi o a Mumbai dal CdA di un colosso siderurgico indiano.
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