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Bocca di Rosa

? La chiamavano Bocca di Rosa e metteva l?amore sopra ogni cosa ?. Si svegli? con quel ritornello in testa, ci si era anche addormentato, e adesso lo portava fino al treno che ogni mattina lo trasportava da Bergamo a Milano.
Sul convoglio le stesse facce che salivano con la stessa indolenza meccanica e si chiedeva se anche quelle persone avessero una predilezione simile a quella che aveva lui per la carrozza numero cinque. Ne era certo, alla destra e di fronte al suo posto vicino al finestrino, da un po? di giorni vedeva le stesse persone e chiss? come gli venne in mente prese a guardare l?orologio e rivolgendosi a chi gli era seduto affianco cominci? a dire:
?Mi scusi, sbaglio o lei tra venticinque minuti scender??
Il signore guard? a sua volta l?orologio e con espressione di sorpresa rispose:
?Esatto?.. ma come fa a saperlo??
?Cos??.. un gioco??.? e rivolgendosi alle due donne di fronte prosegu? facendo ciondolare la testa due volte tra l?orologio e le loro facce:
?Lei scende tra trentacinque e lei tra quaranta minuti. Si intende puntualit? del treno permettendo, ma raramente questi treni fanno ritardo, di solito viaggiano con estrema precisione.?
Le due donne si guardarono anche loro sorprese e con un ghigno appena accennato una disse: ?Strana occupazione la sua di notare certe cose.?
Lui noncurante dell?osservazione fattagli e con piena soddisfazione guard? al di l? del finestrino e prese a contemplare il suo viaggio come ogni mattina da venti anni.
Non era il migliore paesaggio, troppe industrie ne interrompevano la naturalezza. Vedere quei fumi uscire in modo cos? copioso, deciso, compromettente, metteva paura, soprattutto nei pomeriggi d?inverno, quando dallo stesso treno che chiudeva le giornate dei pendolari, la densit? della loro gettata era l?unica prospettiva in uno scenario buio.
Dalla stazione di Milano si dirigeva verso la metropolitana e dopo tre fermate era in pieno centro zona Duomo. Ancora dieci minuti di marcia e poi entrava nel palazzo anni quaranta dove si trovava lo studio notarile presso il quale lavorava.
La sua scrivania, bella, in noce, con al centro un rettangolo di pelle color verde. Era un piacere vederla l?, tutti i giorni, rassicurante. Rassicurante della sua posizione e del suo ruolo.
Aveva sempre avuto molta considerazione per il suo lavoro che aveva sempre svolto in maniera estremamente precisa e meticolosa. Ci? rispecchiava la sua personalit? e il suo grande rispetto per l?impegno che la sua funzione precisa rappresentava. Una funzione precisa nei confronti di se stesso, nei confronti degli altri.
Gi?, lui aveva ancora questa consapevolezza e concezione antica del proprio ruolo. Un ruolo inteso a livello sociale, collettivo. Una morale, e come tale aveva senso e scopo solo se rivolta agli altri. Come dire, un senso di appartenenza, netto, coinvolgente e coraggioso.
Antipatie particolari per qualcuno e situazioni sgradevoli in grado di sconvolgere la sua invidiabile parsimonia non facevano parte della sua storia di grintoso cinquantenne con una visione ottimistica della vita.
Il rettangolo in pelle verde al centro della sua scrivania! Lo contemplava, ammirato, ogni qual volta necessitava di un?idea, un?ispirazione, un clic, che gli desse l?apertura per una trovata geniale che tanto lo faceva spiccare nel suo lavoro per originalit?.
Era necessario opporre alla meccanicit? del suo lavoro quel tono di particolare eccezione che gli dava colore, che gli desse la consapevolezza di poter abbattere il grigio della monotonia. Che postura, che gestualit?! La sua comoda poltrona girevole in pelle nera lo esigeva. Chiunque entrasse nello studio aveva immediatamente davanti l?immagine rassicurante di chi sa bene quel che fa e che soprattutto lo fa con passione, coscienza.
Ore 10.30, la segretaria entra per portare il solito caff? zuccherato una volta e gi? girato. Lei sa che lui ? seduto con la schiena pi? dritta che pu? a compilare documenti e a firmare. Sa che senza parlare deve porre la tazzina alla sua destra e che prima di andare via deve aspettare di sentirsi dire che il caff? ? buono come al solito. Mentre sorseggia, lui, gode al pensiero che lei ammiri la sua firma apposta in calce ai documenti.
Cos? si pu? andare avanti altre due ore senza essere disturbato. La segretaria sa che al mattino non si devono passare telefonate. Solo il pomeriggio ? dedicato alle visite e ai contatti telefonici. Dopo pranzo il fisico richiede meno impegno e le carte vogliono concentrazione, rigore, precisione. La gente, meno, anzi a volte, per nulla.
Ma la sua postura nella poltrona anche durante le visite accolte con ineffabile stretta di mano non subiva nessun cedimento, anch?essa ineffabile.
Tutto risolvibile, tutto nella norma, qualsiasi problematica poteva essere catalogata senza alcun impegno eccessivo; gi? tenere quella postura ne richiedeva tanto. In vent?anni di carriera ad ogni pratica era stata catalogata la sua soluzione, la sua gestione.
Ore 19.30, una sbirciata alla foto della famiglia messa sulla sinistra della sua scrivania. Moglie e due figli. Certo un po? cresciuti rispetto a quella vecchia immagine, ma ancora bella, in grado di farlo sentire uomo.
Poi prende l?impermeabile, il cappello, esce dall?ufficio e mentre chiude la porta d? un?ultima occhiata alla scrivania. Il tragitto fino al metr? e poi alla stazione. La carrozza numero 5, i passeggeri del ritorno. Poi la strada di casa percorsi negli abituali cinque minuti. La porta di casa che si apre, la moglie all?uscio, i figli che gli vengono incontro, una carezza, un sorriso. Poi la cena e le rassicurazioni che tutto sia andato bene durante la sua assenza.
Si, tutto ? andato bene, come sempre. E adesso un po? di televisione, domani alle 8 bisogna salire sulla carrozza numero 5.
?La chiamavano Bocca di Rosa e metteva l?amore sopra ogni cosa?. Suona ancora allo stesso modo, intonato esattamente come ieri mattina.

MASSIMILIANO FORGIONE

30 GENNAIO 2005
 




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